Una metafora della natura

1995-2001

UNA METAFORA DELLA NATURA

[…]Erano dunque, i suoi quadri, qualcosa di felicemente antagonista, di resistente e di renitente alle omologazioni allora in atto. Ma ad una tale qualità s’aggiungeva anche l’occasione d’intingersi nelle ragioni di uno sguardo pittorico rivolto con già matura intensità alla natura ed alle sue circostanze liriche. Uno sguardo privo di retorica e di riverenze, e dunque, a maggior ragione, denso d’esplorazioni e di scavi nel portato poetico della realtà.
Si trattava di immagini forti e asciutte, sobriamente concentrate a descrivere giardini e cespugli di ispirazione quasi barocca, con vecchie pietre, vasi e statue a far da contrappunto alle siepi, ai cespugli e al fogliame: scenografie interiori della memoria e del sogno, che diventano come un’assorta, intima riscrittura dei paesaggi dell’anima.
E dunque si trattava, già allora, di una natura non “naturalistica”, poiché, se il soggetto erano appunto quei giardini, il vero tema ne erano i sentimenti, le emozioni, i valori poetici che le immagini stesse ponevano in fibrillazione emotiva.
In fondo è proprio un tale anti-naturalismo, con le sue chiavi emotive, che s’è venuto rafforzato in questi ultimi lavori e nel progresso indubitabile che segnano. Poiché oggi, per questa sua seconda mostra a Milano, quella sua scelta iniziale dimostra vistosamente d’essersi accentuata, d’essersi maturata verso una direzione ancora più significativa, ancora più incisiva sul piano dell’emozione e del suo traslato pittorico.
[…] C’è una commozione che nulla ha più da spartire, nemmeno da lontano, con il sospetto di un d’après nature di mero genere paesaggistico.
Questa sua enfasi appassionata, anzi, sfiora decisamente oggi i territori dell’espressionismo, agitando violentemente materiali visivi e materie pittoriche inedite e sorprendenti, con un impatto che, in molti casi, è di immediata ed energica suggestione. La pittura attuale di Barbara, cioè, si muove in un’incalzante e fiammeggiante torsione dell’immaginario che, come si può vedere, si riveste nei grandi tèleri di scorze e grumi gestuali, di guizzi e sciabolate dinamiche, di ribollimenti e illividimenti drammatici, oppure, nelle opere più piccole e più quiete, si frantuma spesso in una sorta di misteriosa destrutturazione, di ambiguo puzzle del panorama rappresentanto.
Sia nell’uno che nell’altro caso, l’immagine ne esce violentata, violata, stravolta nei suoi più intimi e consueti elementi costitutivi, “tirata” fino alle sue più estreme conseguenze emotive.
Anche perché, assieme a questi accenti formali’ della scrittura pittorica, dalle superfici emergono contestualmente, con immediata naturalezza le tracce del simbolo, cioè di un potenziale d’allusività e di emblematicità che si carica, come per una sua interna cumulazione d’elettricità, di sensi ambigui e contraddittori, di commozioni interroganti, d’energie evocatrici… In altre parole, di ampie e dilatate energie metaforiche.
Forse è proprio questa, dunque, la sostanza della continuità nel rinnovamento di questa pittura. Cioè la sua costante tensione a scavare sotto l’epidermide della rappresentazione, per farne emergere le significazioni e le trasfigurazioni più intime e implicite di cui l’autrice, tra istintività ed assorta tensione lirica, l’ha caricata.

Milano, gennaio 1994
Giorgio Seveso

PUNTI DI VISTA

Barbara Antonelli, partita dall’indagine sulla figura umana, passata attraverso la tematica floreale inquadrata nell’ambito di un hortus conclusus, ci presenta adesso il paesaggio. Barbara Antonelli come sente, così vede. La sua porzione di mondo, il suo punto di vista, si sposta in relazione alle sensazioni provate. Si va dall’opera materica eseguita di getto, nella quale l’emozione è trasferita direttamente sulla tela, al quadro “precisionista” eseguito a più riprese con rigore e pazienza, con meticolosità e costanza, con forza e disciplina, nel quale le pennellate sono dosate una per una e solo successive velature portano al risultato finale. È allora che l’opera assomiglia veramente a se stessa, non un tocco di più né un tocco di meno. Barbara alleva amorevolmente le sue “piante”, le fa crescere dentro di sé fino a condurle a piena maturazione, fino ad esclamare: -È lei!
Dietro la piacevolezza estetica di queste opere, costruite come annessione di frammenti, come tessere di mosaico della memoria, vi è tutta la sua forza espressiva: il colore si fa materia, il rosso (sangue, passione e vita) emerge da quella “calma apparente” data dai colori freddi e rilassanti come l’azzurro, il verde, il viola. Il paesaggio, naturalistico solo in apparenza, è quello della campagna romagnola filtrato attraverso il ricordo, rielaborato nella memoria/sogno e contaminato dalla luce elettrica, dalla luce di Wood, dalla luce al neon, dal buco nell’ozono. Alberi, campi, colline, sono il pretesto per far gridare la materia pittorica come l’urlo di Munch, come le bocche digrignanti e spalancate di Bacon, come la gioia disperata di Van Gogh.
L’opera di Barbara è un continuum: il dramma della terra è lo stesso dramma dell’uomo.

Firenze, maggio 1996
Patrizia Landi